Se c’è uno scrittore che
ha inteso fare uscire la Poesia dalle accademie, dalle aristocrazie
letterarie, dalle velleità mondane, dai barocchismi che hanno fatto il
loro tempo, dalle futilità quotidiane dei cui spesso i poeti si
circondano e alle quali si aggrappano in mancanza di una sofferta
ispirazione da forgiare e modellare;
se c’è uno scrittore che
ha inteso usare la Poesia quale mezzo di comunicazione con gli altri,
quale veicolo portatore di verbo, dando alla sua arte un contributo più
dignitoso e più alto;
se c’è uno scrittore che
, con i diritti conferitigli dalla persecuzione politica, dalla
detenzione arbitraria, dalle minacce di morte e da un attentato andato a
vuoto, dall’esilio (e , in questo, lo posso capire un po’ meglio di voi,
poichè anch’io - seppure in tempi e in circonstanze diverse - ho dovuto
abbondanare la mia Terra, che peraltro - e non a torto - continuo a
considerare Italianissima) e al peso di migliaia di rifugiati, vittime
del paradiso rosso e del post-comunismo o del critto-comunismo ,
può e deve
sentirsi il Poeta della Democrazia, della Libertà, il cantore del dolore
e il cronista delle atrocità vissute e sofferte;
se c’è un tale scrittore
, questo non può non essere che SHPENDI SOLLAKU, che si fa chiamare come
il patriarca biblico che, esortato da Dio, costruì quell’arca che salvò
lui, la sua famiglia e gli animali dal diluvio. Cioè, Sh.S.Noè. |